Umberto Sgambati

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Coniugare metodo e originalità, ma senza fare le prime donne!

Umberto Sgambati, Amministratore Delegato di Proger

Alcuni anni fa, ebbi un confronto serrato con un mio collega statunitense, Gary Stout, nella sede di Proger a Riyadh. Si trattava di una conversazione di metodo, ma al tempo stesso di una divergenza culturale tra due modi di pensare e lavorare.

Lui sosteneva che il project management “americano” fosse migliore di quello “italiano” – proprio come nelle barzellette – ed elencava, al riguardo, una sfilza di ragioni utili a supportare la sua tesi: scuola, tradizione, esperienza, organizzazione sistematica del lavoro, software e tool specialistici, cultura militare della pianificazione e del controllo di tempi, costi e qualità.

Facevo francamente fatica a contrastarlo, e non soltanto a causa di un inglese non sufficientemente evoluto, né aggressivo al punto giusto…

Provai a spiazzarlo: «Cercherò di spiegarti con un esempio» gli dissi guardandolo fisso negli occhi «la vera differenza tra il tuo e il mio modo di intendere il project management…».

Giocai la mia mossa del cavallo. Lui mi guardò con quel ghigno beffardo che si posa sulle labbra di chi pensa di avere la vittoria in mano.

Iniziai le mei danze: «Cosa fai, Gary, come prima cosa quando torni a casa dopo aver fatto un acquisto all’IKEA? Te lo dico io: leggi dall’inizio alla fine il libretto delle istruzioni e poi, passo dopo passo, monti il tuo mobile. Giusto?».

Mentre annuiva, incerto su come ribattere, lo incalzai nuovamente: «Io invece no, non faccio così! Io apro il pacco, comincio a montare il mobile e poi, ma solo quando mi sembra che avanzi un pezzo che non so dove mettere, consulto il libretto delle istruzioni…».

Gary sorrise, allargando le braccia in segno di ecumenica soddisfazione.

«Non ridere però, amico mio; non pensare di aver vinto la partita» aggiunsi, mentre lui tornò serio, improvvisamente.

«Considera cosa succederebbe se una pagina del libretto di istruzioni, per un motivo qualsiasi, mancasse: tu non saresti in grado di completare il montaggio del tuo mobile, mentre io, magari con un po’ di tempo in più del necessario, arriverei comunque alla fine… e, per di più, mi avanzerebbe probabilmente un pezzo!».

Ho ancora davanti agli occhi l’espressione del collega texano, divertito per il gioco e, al tempo stesso, colpito nel segno.

«C’è del vero in quello che hai detto» concluse «anche se, naturalmente, non posso darti ragione fino in fondo. Di sicuro voi italiani avete una marcia in più: siete più creativi, meno rigidi, avete sempre una soluzione pronta. E, probabilmente, quando riuscirete ad essere anche più organizzati…».

In questo piccolo racconto, e nella chiosa del collega texano, sono in qualche modo contenuti i paradigmi che da sempre ispirano la mia vita professionale e quelli di Proger, dove lavoro da più di 35 anni: riuscire a coniugare conoscenze tecniche e specialistiche con sensibilità e capacità artigianali, dando vita, sì, ad un’organizzazione industriale (in grado, quindi, di pianificare, gestire e controllare il progetto in modo rigoroso), ma alimentandola con una vocazione multidisciplinare e creativa.

È a questa sintesi, difficile ed alta, di regole ed emozioni che Proger guarda ogni giorno, consapevole del suo ruolo e della sua missione; ben sapendo che una chiave importante del suo successo risiede proprio nella capacità di organizzare al meglio le proprie risorse, anche grazie all’integrazione con altri partner, selezionando le eccellenze che il territorio esprime.

Non è un compito semplice, perché il nostro è un “Bel Paese” difficile e complesso, nel quale millenni di storia, oltre a consolidare un fertilissimo patrimonio di cultura, bellezza, conoscenza e capacità, hanno determinato quell’endemica incapacità di fare sistema che costituisce, senz’altro, uno dei limiti principali della piccola e media imprenditoria italiana.

Ma è un limite che va assolutamente superato, a maggior ragione se si intende competere sui mercati internazionali. Occorre, perciò, che questo lavoro di regia multidisciplinare, in grado di coordinare professionalità e conoscenze diverse, venga interpretato nel modo giusto, con autorevolezza e professionalità, ma anche nel rispetto dei ruoli dei diversi protagonisti.

Credo che una parte importante del successo di un progetto, più in generale di un’iniziativa imprenditoriale, risieda proprio nella gestione sensibile e intelligente dei rapporti tra i suoi diversi protagonisti; e quando il successo del progetto è limpido e pieno, senza che si renda necessario enfatizzare il ruolo del leader che ha guidato la squadra, né sottolineare quello dei singoli giocatori, il risultato è da considerarsi davvero raggiunto.

Come accade ad un arbitro che dirige magnificamente una finale di Campionato Mondiale di calcio, facendo in modo che tutto si svolga nel rispetto delle regole, che la partita abbia l’esito più giusto e che i ventidue giocatori possano esprimersi al meglio.
Nei fatti, bisogna essere protagonisti ma di cui nessuno ricordi il nome!